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BAYREUTH: LOHENGRIN. Rezension in italienischer und deutscher Sprache

27.08.2015 | Allgemein, Oper

LOHENGRIN . Bayreuth, 16 agosto 2015


Klaus Florian Vogt, Annette Dasch. Foto: Youtube

 “Ebbi allora la primavera, grande, sublime rivelazione del genio di Wagner”: così Toscanini al primoascolto di Lohengrin, opera mbellissima, meravigliosa, rivoluzionaria,commovente, un classico; e un classicodel teatro musicale non solo “sopporta”l’attualizzazione, anzi a volte la“chiede”, proprio per non smettere di dire quello che ha da dire; nella audacee surreale messa in scena di Hans Neuenfels l’attualizzazione porta l’azione in un laboratorio scientifico conesperimenti su topi, dove i coristi sono vestiti come topi, metafora di una condizione esistenziale che non vuole permanere nella cieca abiezione dello stato animale ma che attraverso la fede nel miracolo-utopia gradualmente arriva a togliersi di dosso il guscio da topo acquistando sembianze umane, sin dal primo contatto con Lohengrin; la fede nel miracolo opera la trasformazione, l’”esperimento” funziona, anche se il tutto poi si rivela in fondo essere solo un’utopia in quanto sulla fede va a prevalere la natura umana dominata dalla mente e dal dubbio; l’utopia e l’ineluttabile senso di separazione aleggiano nella rappresentazione fin dalla prima apparizione fugace e confusa di Lohengrin durante il Preludio. Il coro, in questa impostazione registica, è quanto mai rappresentato come un personaggio collettivo, che partecipa alla vicenda tanto quanto gli attori stessi, protagonista di una vicenda esistenziale profonda e di primo piano; la messa in scena con la presenza del coro-topi assume spesso risvolti grotteschi e umoristici, le scene appaiono algide e scarne con luci fredde: tutto ciò  non sempre corrisponde al senso “epico” della musica e della vicenda, ma questo in definitiva non fa altro che esaltare maggiormente la potenza espressiva della musica e richiamare l’attenzione su di essa, per altro affidata in questo spettacolo alla strepitosa realizzazione dell’intero cast. 
Nel secondo atto l’azione si apre su una scena decisamente diversa, cupa e tetra, dove la musica con le sue risorse timbriche, la psicologia die personaggi e l’ambiente si fondono in un’unica suggestione espressiva. Pochi gli oggetti simbolici e Ortrud è in abiti maschili, diabolicamente dominante.
La magica fusione dei timbri strumentali con i timbri vocali tocca momenti di grande suggestività ad esempio nel primo Duetto di Lohengrin ed Elsa, dove notiamo anche omogeneità ed efficacia nell’impasto vocale dei due, o nell’ Aria finale di Lohengrin tra la vocalità delicata e i suoni eterei dei violini.

 La vicenda dei tre atti è scandita dalle tre proiezioni-video premonitrici animate da topi.

I cantanti spesso (forse troppo) si trovano a cantare in posizione stesa a terra non proprio congeniale al canto, anche il coro talvolta sembra doversi muovere in modo poco congeniale al canto (in mucchio, saltando…).  La dicotomia buoni-cattivi, sempre presente e
inviolata, impersonata dal binomio Elsa-Ortrud raggiunge un momento climax nel II atto nella sorta di duello a colpi di ventaglio delle due.

Il re Enrico, garante del sistema conservativo, appare a volte pavido e debole, vacilla, cade, toglie la corona dal capo, o per un attimo cede il trono ad Elsa, in quel momento artefice del destino del popolo.

 L’Opera, quasi Dramma musicale, proprio grazie alla “prosa musicale” che vi si instaura, trova la sua forza della tenuta scenica proprio nel rapporto stretto ed efficace tra musica e parola, che fluisce incessantemente con forza espressiva; la musica si muove di scena in scena in una successione quasi ininterrotta dominata dalla declamazione melodica drammatica con piena partecipazione dell’orchestra;
questa, evidenzia le differenze della partitura, evaporando il sovrannaturale e scurendo il terreno, con un risultato eccezionale. Rivelazione della serata il giovane Direttore d’orchestra Alain Altinoglu, al suo esordio trionfale sul palcoscenico di Bayreuth, conduce
con eccezionale chiarezza e pertinenza la concertazione e lo svolgersi die tempi, mantenendo sempre viva la tensione scenica (come ad esempio nel  Preludio della IV scena del II atto con la sua tensione di melodia infinita) e portando l’orchestra ad un superbo livello
di esecuzione; i Cori danno grande prova di perfezione esecutiva per tutta la serata, emozionandoci in momenti di particolare spicco come la III scena del II atto; la Elsa di Annette Dasch ci incanta con la sua presenza scenica e l’intensa interpretazione, capace di rendere i vari momenti della sua anima tormentata, dall’estasi al profondo dolore, grazie alla vocalità morbida espressiva elegante, al tempo stesso dolce e potente; Il re Enrico, Wilhelm Schwinghammer, solido vocalmente ed efficace nell’interpretazione, è affiancato dal personaggio dell’Araldo, figura quasi dialetticamente complementare con la sua fiera e coraggiosa moralità, interpretato da Samuel Youn in modo energico e convincente; Klaus Florian Vogt, nel suo perfetto physique du rôle,  incarna un Lohengrin che mantiene la divina indifferenza di chi sa come andranno le cose, e nell’interpretazione padroneggia perfettamente sia una vocalità dal particolare timbro in maschera etereo e suggestivo che esprime la spiritualità del personaggio sia la vocalità dal piglio eroico e dallo squillo potente che sovrasta l’insieme nei concertati sia la morbidezza dei momenti più lirici; nei panni di Ortrud vediamo una Petra Lang di forte drammaticità e vocalità spinta, grande nell’esprimere il lato demoniaco del personaggio, capace di uno sguardo raggelante e di una gestualità melliflua e ingannevole; Jukka Rasilainen nel ruolo di Friedrich von Telramund, con voce potente e una certa aggressività tagliente, realizza una emozionante interpretazione ricca di pathos e di penetrazione psicologica.

 Enorme successo di pubblico, che applaude lungamente nel tripudio generale.

Cristina Iacoboni

 

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 LOHENGRIN Bayreuth, 16. August 2015

 „Dann hatte ich die erste wirkliche, große, erhabene Offenbarung des Genies von Wagner“, so sagte Toscanini beim ersten Hören des Lohengrin.
„Die Oper ist schön, wunderbar, revolutionär, bewegend, ein Klassiker; und ein klassisches Musiktheater unterstützt nicht nur eine aktuelle Inszenierung, sondern fordert einen Regisseur oft dazu sogar heraus, indem er gerade das nicht zurückzuhält, was er zu sagen hat.  In der gewagten und surrealen Inszenierung von Hans Neuenfels führt die Aktualisierung in einem wissenschaftlichen Labor zu Experimenten an Mäusen, in denen die Chorsänger als solche dargestellt sind, Metapher eines existentiellen Zustands, der aber nicht nicht in der Tiermetapher verharrt, sondern den blinden erbärmlichen Zustand Tier im Glauben an eine Wunder-Utopie überwindet, indem die Ratten ihre Tierhülle vom ersten Kontakt mit Lohengrin an nach und nach abwerfen: der Glaube an das Wunder bewirkt die Transformation, das „Experiment“ funktioniert, auch wenn alles, was dann offenbart wird, in der Tat nur eine Utopie ist, weil die menschliche Natur durch Vernunft und durch Zweifel beherrscht wird, schließlich überwiegt aber der Glaube. Utopie und das unvermeidliche Gefühl der Trennung verwirren im Vorspiel zum Lohengrin. Der Chor, der in dieser Einstellung die Richtung vorgibt, auf jeden Fall als ein kollektiver Charakter dargestellt wird, der in der Geschichte genau so sehr  wie die Akteure selbst beteiligt ist, ist der Protagonist einer Geschichte von tiefer existentieller Bedeutung.

Die Inszenierung mit der Präsenz der Chor-Mäuse hat oft Auswirkungen auf groteske und humorvolle Szenen, die oft wie gefroren und kärglich in einem kalten Licht erscheinen. All dies entspricht wohl nicht immer dem epischen Fluß der Musik, aber lenkt andererseits wieder zu diesem hin und führt defintiv zur Verstärkung ihrer Ausdruckskraft, wozu der auch die gesamte Besetzung entscheidend beiträgt. Im zweiten Akt beginnt die Aktion in einer ganz anderen Szene, dunkel und düster, wo mit den  klanglichen Ressourcen die Psychologie der Figuren und die Umwelt sich in einer einzigartig expressiven suggestiven Art begegnen. Zu allerhand symbolischen Requisiten erscheint Ortrud  in Männerkleidung, teuflisch dominant. Die magische Mischung aus Instrumental- mit Stimmklangfarben kreiert berührende Momente von großer Suggestion, beispielsweise im Duett von Lohengrin und Elsa, wo wir ausgewogene und wirkmächtige Momente in der Mischung der Stimmen  feststellen, oder  im Schlußgesang Lohengrins im Zusammenklang der Stimme und den zart ätherischen Klängen der Geigen.

Die drei Akte werden zusätzlich durch Videos mit witzig-lebendigen Ratten-Cartoons interpoliert. Die Sänger singen oft auf dem Boden liegend, nicht eben bequem für den Gesang, der Chor ist auch oft in exzentrischer Bewegung, indem er in kleinen Haufen oder springend zu singen hat. Die Dichotomie Gut – Böse, die immer immer vorhanden ist und völlig untangiert bleibt, von den Fürstinnen Elsa und Ortrud inkarniert,  erreicht ihren Höhepunkt in Akt II in einem Fächerduell der beiden.

 König Heinrich, Garant der konservativen Systems, erscheint manchmal schüchtern und schwach, wackelt, fällt, nimmt die Krone vom Kopf, und für einen Augenblick übergibt er den Thron an Elsa, die er als Architektin  des neuen Brabant empfindet.

Die Oper, fast musikalisches Drama, dank der „musikalischen Prosa“, die Wagner hier erstmals einsetzt, findet ihren Halt auf der Bühne in einer engen und wirksamen Beziehung zwischen Musik und Worten, die mit einer unaufhörlichen Ausdruckskraft fließen; die Musik bewegt sich von Szene zu Szene in fast ununterbrochener Folge von dramatischer melodischer Deklamation mit voller Beteiligung des Orchesters. Dies unterstreicht auch die Dichotomie in der Partitur, das evozierte  Übernatürliche und das sich verdunkelnde Erdhafte, mit einem außergewöhnlichen Ergebnis: Die Offenbarung des Abends scheint der junge Dirigent Alain Altinoglu bei seinem triumphalen Debüt auf der Bühne des Bayreuther Festspiele. Er führt mit außergewöhnlicher Klarheit und Sinnlichkeit im Ausdruck und in Bezug auf das Zusammenspiel des Orchesters. Er nimmt sich und hat die richtigen Impulse wie z.B. in der im Vorspiel 4.Szene II.Akt, in der er die Spannung der schon ‚unendlichen‘ Melodie hält  und das das Orchester auf ein hervorragendes Leistungsniveau hebt.

Die Chöre füllen in einer perfekte Wiedergabe den Abend und bewegen sich sehr emotional besonders  gegen Ende des zweiten Aktes; die Elsa, Annette Dasch, verzaubert uns mit ihrer Bühnenpräsenz und der intensiven Interpretation, die in der Lage ist, die verschiedenen Momente einer  gequälten Seele, von größtem Selenschmerz zu höchster Ekstase, dank ihres weichen, ausdrucksvollen und eleganten Gesanges, süß und kraftvoll zugleich, herüber zu bringen.

Dem König Heinrich, Wilhelm Schwinghammer, stimmlich solide und mit einer effektvollen Interpretation, steht der Heerrufer zur Seite, fast eine dialektische Komplementärfigur in seiner fairen und mutigen Moral; Samuel Youn flankiert energisch und überzeugend.

Klaus Florian Vogt, in seiner perfekten “physique du role”, verkörpert einen Lohengrin, der in seiner Haltung eine ‚göttliche‘ Indifferenz in Bezug auf die sich ereignenden Dinge beibehält,  und die Interpretation ist perfekt durch ein besonderes Timbre, das ätherisch und mit perfektem Sitz in der Maske die eindrucksvollste Spiritualität des Charakters zum Ausdruck bringt. Dabei entwickelt die Stimme auch einen heroischen, ja den erwünschten Trompetenklang, der auch in den lyrischsten Augenblicke die Ensembles überstrahlt.

In der Rolle von Ortrud erleben wir in Petra Lang eine fast hochdramatischen “lirico spinto”-Sängerin mit großem dämonischen Charakter, in der Lage, vernichtenden Blicke und böse bis obszöne Gesten auf  ihre Gegner zu projizieren;

Jukka Rasilainen in der Rolle des Friedrich von Telramund, mit großer Stimme und einer gewissen Aggressivität, singt scharf und erzeugt eine spannende Interpretation voll Pathos und psychologischer Durchdringung.

Das alles ergibt Riesenerfolg beim Publikum, das den Ausführenden lange Ovationen spendet.

 Cristina Iacoboni   (Übersetzung: F.Rosén)

 

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