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ROMA/ Teatro dell' Opera: DIE BASSARIDEN von Hans Werner Henze

30.11.2015 | Oper

OPERA ROMA:  THE BASSARIDS (29.11.2015)

Opera seria in un atto di Hans Werner Henze
Libretto di W.H. Auden e Chester Kallmann dalle „Baccanti“ di Euripide


Copyright: Teatro dell Opera

La Stagione 2015-2016 del Teatro dell’Opera di Roma si apre in ideale continuità con il percorso già delineato dalle ultime produzioni della precedente Stagione dedicato al grande repertorio operistico contemporaneo:la rappresentazione di The Bassarids di Hans WernerHenze, nella versione originale in lingua inglese,  vede il Teatro cimentarsi  in un grande lavoro di realizzazione, con notevole dispiegamento di forze e risorse sia dal punto di vista scenico che musicale; si tratta del debutto assoluto sulle scene romane di un opera che segna nel 2015 il cinquantenario della propria nascita, ora realizzata con la direzione di Stefan Soltesz,Maestro del coro Roberto Gabbiani,  la regia di Mario Martone,  i costumi di Ursula Patzak, le scene di Sergio Tramonti, le luci di Pasquale Mari i movimenti coreografici di Raffaella Giordano.

Bassaridi (da Bassarai, portatrici di pelli di volpe)o Baccanti: chiara la derivazione del soggetto dalla tragedia di Euripide “Le Baccanti”, l’ultima tragedia di Euripide, dove “al contrario di tante altre che offrono catarsi e risoluzioni dei conflitti tragici, qui non c’è soluzione, non ci si può schierare, tutto è oscuro, tutto è mistero; Le Baccanti sono la più misteriosa delle opere che offre solo domande e scava nel disordine indomabile che è dentro ogni essere umano e di conseguenza dentro ogni società: Le Baccanti raccontanodi un caos originario attraverso un duplice aspetto, uno personale e l’altro sociale e politico: la grandezza di Auden e Kallman è di aver intrecciato, in una trasposizione drammaturgica di altissima qualità, i due livelli e saranno proprio i due piani, quello interiore e quello politico, che cercherò di mettere in scena nello spettacolo….Tutto quello che ci circonda e che ci angoscia è presente in questa tragedia, ma niente è riconducibile all’attualità, tutto si presenta sotto un segno capovolto. Qui chi libera è violento, e chi reprime è vittima. Le Baccanti sembrano voler suggerire al lettore che non è possibile semplificare, ma è necessario confrontarsi con la complessità, poiché il destino dell’uomo non è avere una strada facile…Un messaggio difficile, ma estremamente contemporaneo”, così le parole illuminanti del regista Mario Martone, che evidenziano nell’opera la potenza del grande dramma umano in cui l’esistenza è dilaniata dall’eterno conflitto tra istinto e ragione (Dionysus ePentheus), libertà assoluta e controllo repressivo, diversità e intolleranza, nella “discontinuità tra uomo e natura”(Henze), questo il dualismo concettuale di tutto il dramma,  che rimane sostanzialmente irrisolto;  “Misteri  incomprensibili, al mortale inscrutabili….: noi in ginocchio adoriamo” sono le ultime parole del Coro.

Un libretto pieno di preziosità, idee, teatralità e cultura è alla base della creazione di quest’opera cardine del melodramma contemporaneo; la densità del testo sembra  generare un ‘espressione musicale dal tessuto estremamente denso nella ricca ricerca timbrica, nell’uso dell’armoniae del ritmo, in una complessità e modernità di linguaggio musicale che, pur se nell’eclettismo e nell’uso di estremi e drammatici contrasti, non perde mai la sua unitaria essenzialità e tensione interna, nel ritmo serrato del dramma: dalle atmosfere rarefatte sensuali  ed “arcaiche” della seduzione dionisiaca all’espressione severa e asciutta(dualismo Dionysus ePentheus), dalla ritmica ostinata a mo’ di danza (Coro) ai brani di maggior effusione lirica o all’esaltazione epica di grandiosità mahleriana, dai momenti di efferata violenza orgiastica ai momenti del più alto e quasi inesprimibile dolore. L’unitarietà dell’opera si appoggia altresì sulla concezione sinfonica e unitaria della stessa: “la base dell’opera è una struttura sinfonica in quattro sezioni che domina le varie parti successivamente inserite quali arie, cori ed ensemble, creando l’unità musicale e formale per il grande conflitto del dramma umano” (Henze); dunque, quattro sezioni che si susseguono senza soluzione di continuità, un Atto unico di fatto; ad ulteriore salvaguardia della tensione drammatica, nella attuale messa in scena non è presente l’Intermezzo, inizialmente previsto  nella terza sezione.

La concezione unitaria ed essenziale della rappresentazione del dramma è efficacemente espressa anche nell’impostazione scenica e registica dello spettacolo:  rinunciando ai tradizionali cambi di scena, lo spazio dell’azione, statico e ampio con pochi simbolici elementi scenici, ha come fondale un enorme specchio e si articola in due livelli essendo utilizzato anche lo spazio sottostante il palcoscenico cui si accede con una scala in scena (una sorta di discesa verso la perdizione) e che si riflette nello specchio sovrastante; protagonista la luce, che anima la vicenda coi suoi mutevoli e suggestivi effetti; in scena domina il colore rosso, quasi cupa premonizione…e rosso-sangue è anche la pelliccia di volpe che indossa Agave nella scena del massacro di Pentheus; lo spazio appare come un unico avvolgente ambiente che acquista un significato simbolico ed evocativo, quasi raffigurando lo spazio “interiore ed introspettivo” della vicenda umana, nei suoi strati e livelli della coscienza, laddove nello  spazio sottostante viene inscenata la dimensione subconscia istintuale e orgiastica del proibito che si riflette nel grande specchio sovrastante come in un riflesso nella coscienza e nella consapevolezza della realtà sociale, in un continuo rapporto dialettico;  è l’ambientazione prospettica in una sorta di “spazio psicologico” che genera  l’intero dramma, più che una rappresentazione esteriore e mutevole degli spazi della vicenda. 

Compattezza e unitarietà, dunque, sia a livello visivo che  musicale, in sinergia.

La regia segue ed evidenzia anche i minimi elementi del testo, talvolta dando particolare risalto ai risvolti più nascosti della psiche dei personaggi.

Di forte impatto drammatico la presenza costante sul palcoscenico del folto gruppo di mimi, che hanno energicamente animato l’azione con audace e plastica espressività.

La realizzazione musicale dell’opera, che ha messo tutti di fronte ad un lavoro di ardua complessità e difficoltà artistica (e anche per questo opera raramente eseguita), è stata di ottimo livello; il coro, diretto dal maestro Roberto Gabbiani, in quest’opera ritrova il suo originario significato nel farsi voce dei sentimenti collettivi e ha dato un’ ottima prova esecutiva ed interpretativa; la direzione di Stefan Soltesz  ha guidato con sicura maestria  e profondità di lettura l’orchestranell’esecuzione di una partitura alquanto complessa raggiungendo eccellenti risultati, un’orchestra di concezione mahleriana eccezionalmente ampia, tanto che una parte degli strumenti a percussione (in grande risalto nella partitura) erano collocati nei palchi di proscenio; sempre puntuale il rapporto del gesto con il palco scenico.  Ottima la prestazione dell’intero cast,
che è composto da LadislavElgr nel ruolo di Dionysus, Russell Braun nel ruolo di Pentheus, Mark S. Doss nel ruolo di Cadmus, Erin Cavesinterpreta Tiresias, Andrew Schroeder un Capitano della guardia reale, Veronica Simeoni interpreta Agave, Sara Hershkowitz è Autonoe e Sara Fulgoninelle vesti diBeroe; ma un apprezzamento particolare va aVeronica Simeoninel ruolo di Agave, un’interprete  coinvolgente e di eccellente livello sia vocale che scenico, intensa e di grande efficacia in un ruolo dal pathosdavvero eccezionale; notevole l’intensità interpretativa di Sara Fulgonie diRussell Braun, convincente in pieno ilDionysusdi LadislavElgrsia per la vocalità sicura e liricamente espressiva che per la presenza scenica.

Lungo e caloroso l’applauso del pubblico in sala.

Cristina Iacoboni

 

 

 

 

 

 

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